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Napoli, non è Gattuso il problema

Napoli, non è Gattuso la mente o il braccio della crisi. Forse al momento non è neppure la figura più lucida nello scenario azzurro, certamente è sul banco degli imputati per il calo di rendimento, con alcune prestazioni poco decenti come quella di Verona (decisivo in senso negativo con i cambi), della squadra dagli inizi di dicembre. Ormai sono due mesi, il saliscendi continua, tanti, troppi, si appellano al modulo, all’assetto tattico, a Zielinski che gioca troppo alto e che dovrebbe finire nei tre di centrocampo, alla mediana a due, a Hysaj che gioca a sinistra con quel vuoto che è sempre più profondo da quasi tre anni, ma è il falso problema. A Verona, per esempio, tutti ruotavano, cambiavano posizione, anche Insigne a metà campo, per sfuggire alla morsa dei veneti, all’uomo contro uomo di Juric. Modulo, numeri, no. Non è la causa, potrebbe essere in alcuni casi una coordinata alla principale. Ma soggetto, predicato e complemento vanno tutti in altra direzione.

NAPOLI, NO AL #GATTUSOOUT, E’ IL MOMENTO DI ADL

Certo, per il Napoli serve la scossa, il cambio di marcia. La continuità. Ma è un obiettivo realmente ottenibile. Può darsi di no. E non è pessimismo, una stagione così strana, anomala, con squadre che passano da imprese a capitomboli rumorosi, può riservare qualsiasi tipo di sceneggiatura da febbraio a fine aprile. E Gattuso ha mostrato, al netto delle critiche, alcune costruttive e centrate, altre nemmeno da pesare, che è in grado di compattare un gruppo, dare anima e identità. Ma può fino a un certo punto. A Napoli ci è già passato Carlo Ancelotti, che ha contribuito alla causa con scelte sconsiderate, anche assecondando un mercato senza il ricambio dei leader storici in uscita nel post-Sarri, ora rischia di passarci anche Rino: questa squadra, sopravvalutata, eccellente in un paio di ruoli ma tremendamente scoperta in altri, è per sua natura, ontologicamente ambigua, mutevole, non continua. L’elenco parte da Insigne, che pure mette anima, piedi e cuore, più di altri, e si allarga a Zielinski, Fabian, Koulibaly, Manolas, Meret, anche Mertens che non è (e non è certo una colpa) un leader come Lukaku, Ibra, Ronaldo, tutta gente che è di qualità, ma con poca voglia di vincere. Alcuni a fine ciclo e non venduti, altri con poco fuoco dentro da sempre. Gattuso l’ha ammesso, il veleno non si allena. In questa squadra manca. C’è spesso la reazione dopo uno schiaffo subito, poi riemerge la puzza sotto il naso, l’attrazione per la tecnica senza garra. Così, con questa rosa, è difficile trovare un filotto. Si passa dai sei gol alla Fiorentina alla nauseante ripresa di Verona. Se i migliori sono questi, come si esce dalla buca? E quindi, per pochi mesi, in attesa della necessaria ricostruzione, lasciando andar via chi ha la valigia pronta da mesi anche a prezzi più contenuti e ripartendo da atleti con uno spessore psicologico differente, Aurelio De Laurentiis è chiamato a intervenire. Rafforzando la posizione del tecnico, stringendo un patto di non belligeranza con la squadra. Tutti assieme, tra alti e qualche basso in meno, per un posto in Champions. E poi, la ricostruzione. Ma con idee chiare.

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