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Napoli, è il progetto tecnico che manca

Napoli, è il progetto che manca. Il progetto tecnico, l’idea di un nuovo ciclo, la visione che Aurelio De Laurentiis ha mostrato dal 2010 in poi, con la scelta di allenatori, dirigenti. Il punto di partenza sono sempre stati i conti in ordine, le caselle economiche al loro posto, i risultati del campo una conseguenza di scelte precise, nette, che hanno portato grandi risultati sul campo, uno scudetto sfiorato (e scippato), piazzamenti in zona Champions League, utili di bilancio. Insomma, la prova di un piano studiato a tavolino, società snella, fin troppo, potere al presidente.

Ora si discute di Gattuso, della disfatta di Verona a sette giorni dalla sestina alla Fiorentina, il popolo del web chiede la testa del tecnico calabrese dimenticando in un amen che in un anno ha ricostruito il Napoli dalle fondamenta (con una coppa in più in bacheca) una rosa sfarinata, assente, che si era ammutinata, in guerra con il presidente, in causa con il presidente, tra di loro, contro il tecnico precedente. In altri casi simili, tipo alla Fiorentina a meta anni Novanta, si finì in Serie B.

Stavolta invece si è centrata l’Europa, la zona in cui il Napoli si trova ora, nonostante l’incredibile caduta di Verona, che è tutta o quasi da ascrivere alle responsabilità dell’allenatore, con cambi folli, una partita letteralmente lanciata dalla finestra. Però si deve andare in profondità, se possibile analizzare la caduta di certezze del Napoli. Che non sono iniziate a casa di Giulietta e che non svanirebbero neppure con un posto in Champions.

NAPOLI, L’ASSENZA DI LEADER NEL POST-SARRI

Il primo punto, forse quello più evidente nelle dinamiche di campo del Napoli. Dopo la fine del triennio sarrista, la società non ha avuto il coraggio, oppure non ha voluto mettere in discussione il tesoretto di utili messi da parte. Per rifondare, riscrivere il Napoli. Palla ad Ancelotti, a lui le chiavi per continuare a frequentare l’Europa. Un anno e poco più di delusioni, un secondo posto nell’assenza di avversarie della Juventus, una debacle tattica e tecnica. Ma soprattutto, la costruzione di una rosa totalmente senza capo e coda, senza centrocampisti, con decine di milioni di euro investiti su giovani con ingaggio medio-basso. L’asse Reina-Albiol-Jorginho-Hamsik mai ricostruito.

E l’errore forse più grande: affidare il nuovo ciclo a calciatori forti ma non leader, talentuosi ma incostanti. Fabian Ruiz, Zielinski, Koulibaly, anche Insigne che pure ha qualcosa in più, che si intestardisce ma che nelle difficoltà mostra scatti di orgoglio, a volte anche in senso tossico per la squadra. Manca forza, carisma, fame, cattiveria. Una rosa amletica, che fa e disfa, che vince una partita mostrando un calcio sontuoso ma che si perde alle prime difficoltà.

E’ avvenuto con Ancelotti, sta avvenendo con Gattuso, che nei primi sei mesi ha messo i sigillo a un piccolo miracolo, compattando con idee, anima e anche gioco, un gruppo inesistente. Ma le carenze sono strutturali. La dirigenza, ovvero Giuntoli, su indicazione della presidenza e non della guida tecnica, è andato su profili di giovani prima e poi ha investito tantissimo su atleti di seconda fascia, buoni ma non buonissimi, Politano, Petagna, altri che si sono mostrati inadatti, da Lobotka a Elmas.

Ma basti pensare che se nel mercato di settembre Gattuso ha portato alla causa a costo zero e all’ultimo giorno di mercato Bakayoko, suo pupillo ma che non giocava da sei mesi al Chelsea e che ora si trova a giocarne dieci in fila. Perché? Perché le alternative, portate dalla società, non chieste dal tecnico, falliscono puntualmente. Gattuso ha chiesto e ottenuto solo Demme e Osimhen. Il primo è l’unico con gli attributi, il secondo è stato fuori per tre mesi.

LE COLPE DELLA SOCIETA’: DAL PROGETTO SENZA META ALL’ASSENZA DI PESO DIRIGENZIALE

Sul Napoli si dirà: in campo non vanno i dirigenti. Certo, ovvio, ma se si va ad analizzare l’assetto societario delle altre competitor per la Champions League. Che hanno l’ambizione dell’alta classifica ritroviamo una figura di spicco, che sa pesare quanto avviene in campo e il lavoro di tecnico e calciatori. Maldini, Zanetti, Nedved, Tare, solo qualche esempio.

Ovvero chi sa ascoltare, smussare, mostrare la via con l’autorevolezza di chi ha vinto, di chi conosce i ritmi del pallone, quando proteggere un giocatore o richiamarlo, fare gruppo, prendere decisioni. Negli ultimi dieci anni questo ruolo spetta solo al tecnico del Napoli, da Mazzarri a Benitez, Sarri a Gattuso. E’ una figura che manca, che è sempre mancata, che serve specialmente quando un ciclo è partito male e va curato e protetto.

LE COLPE DI GATTUSO: DAL PORTIERE A FABIAN, FINO A MERTENS NUMERO 10

Sul Napoli inteso come squadra, da dicembre in poi è evidente la crisi. L’involuzione anche dell’allenatore, che si ritrova una rosa costruita malissimo. Con ruoli scoperti, con eccellenze come Insigne e Lozano, esterni offensivi come nessuno in Serie A. Ma senza terzini di spessore, senza centrocampisti di spessore, al punto che si dipende totalmente dalla resa di Demme e Bakayoko.

A Verona, per esempio, i cambi sono risultati poco capibili, Mertens dietro la punta è un azzardo anche con il belga al 100%, figurarsi se a stento si regge in piedi, poi messo in campo assieme a Osimhen senza campo da quasi tre mesi.

Il Napoli è crollato, senza mediana, senza protezione. La sconfitta di Verona è sulle spalle prima di Gattuso, poi dei calciatori. E anche in precedenza l’insistenza sull’alternanza dei portieri, su Fabian sempre in campo, male nella linea a due o a tre (ma sulle qualità delle alternative si è scritto) fanno assai pensare. Ma i mali arrivano da lontano, anche se un posto in Champions League, in questo torneo senza certezze e dominato dalla legge del Covid, è ancora più che possibile,

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