Antonella Bellutti, due volte campionessa olimpica ad Atlanta 1996 (inseguimento) e Sydney 2000 (corsa a punti) si è candidata alla presidenza del Coni. Contenderà al presidente in carica Giovanni Malagò la poltrona del massimo ente sportivo. La pistard è intervenuta a Goal Position, il programma in onda tutti i martedì sulle frequenze di Radio Amore Campania dalle 15 alle 17. La trasmissione è ideata da Alessandro Pennestri e Luca Cirillo, (in collaborazione con Cult of Calcio e Cartellino Rosa). Ai microfoni dei conduttori, Luca Cirillo e Donato Martucci, la Bellutti non si è sottratta alle domande sulla sua scelta di candidarsi al Coni e ha raccontato la sua visione dello sport.
LA SCELTA DELLA CANDIDATURA ALLA PRESIDENZA DEL CONI
“Devo premettere qualcosa sulle mie motivazioni – ha spiegato la Bellutti – . È una proposta che nasce da un gruppo di persone con le quali ho condiviso sempre l’amore per lo sport. E soprattutto il desiderio di cercare, in qualche modo, di risolvere i problemi che io ho vissuto direttamente prima da atleta e poi ho conosciuto nei vari ruoli che ho ricoperto all’interno della dirigenza sportiva”.
LA MOTIVAZIONE
“Poi anche come insegnante di educazione fisica e in tante istituzioni che lavorano nello sport. Quindi, questa motivazione, che ora è maturata, mi ha portato a scendere in campo. È una candidatura che vuole cercare di portare alla luce temi importanti. Che fino ad ora sono stati considerati relativamente, se non scarsamente. Il mio programma ancora non c’è, perché come ho spiegato in conferenza stampa, io ho creato un manifesto che è leggibile sul sito www.bellutipresidente.it.
“Sulla base di questo manifesto con il gruppo di lavoro stiamo approfondendo alcuni temi. E poi su questi temi apriremo la possibilità a tutti i cittadini, che lo desidereranno, di dare un contributo, portando la loro esperienza, la loro opinione.
“Da tutto questo lavoro nascerà un documento che resterà in eredità. Diciamo alla dirigenza dello sport del futuro, di cui io spero di far parte, ma che, se non sarà cosi, resterà comunque come testimonianza di un lavoro partecipato da tutti i cittadini.
BELLUTTI, LA VISIONE DI UNO SPORT INCLUSIVO
“Detto questo, la mia visione per essere, il più possibile comprensiva, è proprio quella di uno sport inclusivo dove si possono sostenere le associazioni sportive e tutte le realtà che vogliano sostenere l’attività. Poiché quello che io penso e che ho maturato nel corso delle mie esperienze che in Italia sia particolarmente difficile poter fare sport, inteso in tutte le sue varie dimensioni se non si è all’interno di una società sportiva. Il che significa scegliere cosa fare quando si è molto piccoli e quando anche ci sono grosse difficoltà organizzative.
LO SPORT E LA SCUOLA
“Diciamo che l’idea dell’inclusività – aggiunge la Bellutti – passa anche attraverso la possibilità di poter praticare sport in luoghi non istituzionalizzati. E quindi luoghi come parchi attrezzati oppure pensare le città già con le ciclabili. Tutto ciò che, comunque, possa aiutare lo sport che nasca all’insegna della sostenibilità. Poi c’è un discorso specifico, legato alla sinergia tra Federazioni e scuola. La possibilità di praticare sport ed attività fisica entri nell’esperienza istruttiva, quindi possa diventare un bagaglio dell’educazione di chiunque affinché si trasformi per qualcuno nella base per una futura carriera sportiva. Per tutti deve essere uno stile di vita in cui siamo carenti in Italia e che è, comunque, anche la base perché lo sport di vertice possa essere essere più sempre di vertice continuo”.
IL PROFESSIONISMO TRA LE DONNE
“Il professionismo in Italia – spiega la Bellutti – è regolato dalla Legge 91 del ’81 che demanda alle Federazioni la facoltà di decidere dove e come aprire ai professionisti. Con il risultato che ad oggi sono solo quattro le Federazioni (Calcio, Cislismo, Basket e Golf) che hanno previsto solo le categorie maschili. Quindi quello del lavoro sportivo è un problema che riguarda tutti ed essere donna è un aggravante perché anche nelle quattro Federazioni dove il professionismo c’è però le donne non sono incluse.
“Io l’ho vissuto direttamente questo problema e quindi, lo so, fa strano pensarlo, ma qualsiasi atleta, anche la più forte, la più titolata, la più visibile mediaticamente, che mi venga in mente, in Italia è dilettante.
“Vorrei passasse il messaggio che non è solo uno status, un’etichetta, ma è un problema di diritti. E quindi uno sportivo per quanto sia impegnato nella sua attività non ha nessuna di quelle tutele che un qualsiasi lavoratore normalmente ha per quanto precario sia.
“Questo denota che il sistema sia obsoleto. E non ha dato uno sport moderno che è sempre più iperspecializzato e sempre iperprecoce. E quindi si abbassa sempre di più l’età in cui fare sport agonistico diventa incompatibile con qualsiasi altro impegno organizzativo.
“E’ un dramma dal punto di vista della formazione. Perché ovviamente si toglie tempo a quella che è la preparazione per il domani, che il domani dell’atleta è anche più tosto, precoce. Perché una carriera, per quanto positiva, comunque termina in un età in cui normalmente nel mondo del lavoro si inizia ad affermare. Quindi sono tanti problemi che sono collegati al tema del lavoro sportivo.
LA RIFORMA DI SPADAFORA
“Ed oggi la riforma di Spadafora comunque rompe un tabù. Perché denuncia questo problema ed io lo considero un passo avanti. Ma questa linea di compromessi che la riforma sta prendendo sta minando un po’ le sue intenzioni originali. Secondo me stiamo ritornando ad un criterio che si basa di nuovo sulla discrezionalità. E quindi non efficace. Invece che partire alla natura della prestazione si sta rimandando ancora al datore di lavoro. Quindi il presidente di società ha la facoltà di dire se tu sei o non sei un lavoratore. Questo non va bene. Ci vuole una proposta che sia chiara e rispettosa di ciò che è lavoro sportivo e cosa non lo è. Questa è la vera soluzione del problema”.
IL CIO E LA DECISIONE DEL 27 GENNAIO SULL’ITALIA
“Io colgo l’occasione per ricordare alle persone che sono a capo delle Istituzione, che sono al centro di questa controversia, di applicare i valori per cui lo sport è universalmente riconosciuto. Come un bene prezioso. E quindi saper lavorare di squadra, per un obiettivo comune. Trovare, quindi, una soluzione per il bene dello sport e degli atleti italiani.
“Detto questo mi sembra doveroso per dare il buono esempio, credo che una sanzione del CIO per il non rispetto della regola 27 della Carta Olimpica, non possa reggere su questi presupposti. Sebbene ci sia un problema di autonomia nei termini in cui è stato sventrato quello che era il potere del CONI per distribuirlo, adesso, su tre Istituzioni.
“Al centro di questa controversia c’è, sicuramente, la società per azioni Sport e Salute, l’ex CONI Servizi. E sicuramente ci sono delle cose che vanno sistemate. E soprattutto il CONI faccia parte di questa ridistribuzione delle competenze e non le vengano calate dall’alto come probabilmente è successo a suo tempo. Detto questo, sicuramente, il problema attualmente non credo sia nei termini tali da farci incorrere nella sanzione”.
LE TRE VITE SPORTIVE DELLA BELLUTTI
“Saprete – ha concluso la Bellutti – che io ho avuto due, anzi, tre vite sportive e quindi l’oro di Atlanta nel 1996 e poi a Sydney nel 2000. Oltre ad una gioia infinita. Perché per tutti gli atleti poter vincere la massima competizione esistente è una gioia indescrivibile. Però per me lo è stato, credo in maniera particolare. Proprio per il fatto che io promessa dell’atletica leggera, con questo futuro che sembrava scolpito nella pietra. Mi sono trovata, invece, dall’oggi al domani, con un ginocchio che non mi lasciava guarire. Che mi ha portato ad un lungo calvario di quasi due anni. Al termine dei quali ho deciso di lasciare l’atletica. E quindi mai più mi avrebbe fatto immaginare che di li a pochi anni sarei diventata campionessa olimpica in un’altra disciplina”.